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“Gianni fu ucciso da un serial killer, la mafia non c’entra”

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Roma, 7 lug. – “Gianni fu ucciso da un serial killer, la mafia non c’entra”. “Non c’è alcun mistero, l’assassino di Gianni è Andrew Cunanan. Era evidente dall’inizio ed è stato dimostrato dai Tribunali di mezzo mondo. Piace a tanti scavare e scrivere delle falsità colossali, come qualcuno che fa certi programmi televisivi, altrimenti non ci sarebbe mai stato alcun dubbio, su niente. La mafia non c’entra. È tutto evidente e per quanto mi riguarda non voglio tornare sugli argomenti, anche perché ci sono le sentenze passate in tutti i Tribunali del mondo che parlano chiaro”. Parla in esclusiva a Giallo Santo Versace, 77 anni, dirigente della celebre casa di moda e fratello di Gianni, lo stilista 50enne ucciso a Miami, negli Stati Uniti, il 15 luglio 1997. Proprio in questi giorni si celebra l’anniversario dell’omicidio. Sono passati 25 anni. E si torna a parlare del delitto perché è uscito un libro che fa luce sulla vicenda e mette la parola fine alle illazioni che da sempre si susseguono.

“Gianni fu ucciso da un serial killer, la mafia non c’entra”

È stata Roberta Bruzzone, nel suo nuovo libro Versace. Autopsia di un delitto impossibile a tracciare il profilo psicologico dell’assassino, un narcisista maligno affetto da disturbo patologico della personalità. E il movente, fondato sull’invidia di Andrew Cunanan verso lo stilista calabrese. La nota criminologa ricostruisce le tappe fondamentali dell’omicidio Versace, una storia torbida e intricata, e ipotizza piste alternative, raccontando ai lettori quella che si può reputare a tutti gli effetti “un’indagine imperfetta” (ne parliamo in un riquadro a parte).
L’omicidio di Gianni ha sconvolto il mondo. Le immagini del suo corpo portato via d’urgenza sulla barella, il piccione morto a terra e il sangue davanti alla sua villa “Casa Casuarina”, al civico 1116 di Ocean Drive a Miami Beach, in Florida, sono state mandate in diretta da tutti i notiziari internazionali. Migliaia di persone in lacrime si sono accalcate al cancello per portare fiori e biglietti. L’incredulità e l’orrore per un omicidio inspiegabile non si sono placate neppure quando il suo killer è stato individuato. La gente comune e perfino i detective volevano di più: l’intrigo internazionale, la mafia, qualcosa che potesse soddisfare la curiosità e la sete di giustizia. Perché l’assassino non è stato processato, non ha spiegato i motivi di quei proiettili contro uno degli uomini più ammirati del globo. Non ha pagato per le sue colpe, ma si è suicidato prima che potessero catturarlo. Perché Andrew Cunanan, il gigolò gay di 27 anni, voleva essere Gianni Versace e invece era solo uno sconosciuto senza arte né parte, prima che il suo nome finisse nella lista dei dieci ricercati più pericolosi dall’Fbi. Non era ancora abbastanza per Cunanan. Lui era già un serial killer che nella sua folle fuga, fatta di travestimenti, attraverso gli Stati Uniti aveva ucciso quattro persone. Ma gli serviva una vittima illustre, un nome simbolo che avrebbe potuto per sempre suggellare la sua fama e renderlo indimenticabile. Quest’uomo era Gianni Versace.

Era tra i 10 criminali più ricercati

Per capire tutto quello che ruota attorno al delitto di Gianni, dobbiamo tornare al 15 luglio 1997. Di buon mattino, come al solito, lo stilista va a fare colazione e a comprare i giornali al bar vicino alla sua villa, in cui vive con il compagno di una vita, Antonio D’Amico. Sta aprendo il cancello quando, da dietro, un uomo gli spara un colpo alla testa. Versace cade a terra. Il suo assassino si avvicina e preme di nuovo il grilletto, piantandogli una pallottola al volto. L’aggressore si dilegua, mentre Antonio corre fuori, allarmato dal rumore sordo degli spari. Il suo Gianni è esanime e, nonostante la corsa in ospedale, i medici non riescono a salvarlo. Gianni Versace è morto, il mondo guarda e la polizia di Miami deve sbrigarsi, deve trovare il colpevole a tutti i costi. In quel momento, però, i sospetti non si concentrano subito su Cunanan. I detective non sanno che il serial killer si nasconde a Miami Beach. L’uomo è già tra i 10 criminali più ricercati degli Usa, per la scia di sangue che ha lasciato sulla sua strada. Il 27 aprile, a Minneapolis, ha massacrato a colpi di martello sul cranio il vecchio amico Jeffrey Trail, al quale ha rubato la pistola, una Taurus 40. Con la stessa arma, il 3 maggio, ha sparato alla testa a David Madson, la sua seconda vittima. Poi è partito per Chicago, dove il giorno dopo ha torturato a morte Lee Miglin. Il 9 maggio è la volta di William Reese, un guardiano del New Jersey che il gigolò ha ucciso soltanto per rubargli il pick-up. Con quell’auto, indossando parrucche e abiti che il giovane usava di consueto come travestimento, il 12 maggio è arrivato a Miami. Ha lasciato la macchina in un parcheggio e ha preso un hotel di terz’ordine nella zona di Miami Beach. Dove si è mosso indisturbato per due mesi. La polizia non lo individua neppure quando il 7 luglio va al banco dei pegni per impegnare una moneta d’oro da collezione rubata al ricco Miglin, la sua terza vittima. Nonostante Cunanan avesse compilato il modulo per il pegno con i suoi dati personali reali e avesse indicato come domicilio l’hotel degradato, il commesso è andato in ferie e non ha inoltrato subito il modulo alla polizia.
Ed è così che quel 15 luglio i detective non collegano l’omicidio Versace con il serial killer ricercato. Anzi, inizia ad aleggiare il sospetto che ci sia l’ombra della criminalità organizzata sul delitto, perché quel piccione insanguinato sul marciapiede (ne parla la Bruzzone nel suo libro) sembra un messaggio mafioso. Ma perché la mafia avrebbe dovuto uccidere Gianni Versace? Forse voleva mettere le mani sul patrimonio della casa di moda e lo stilista si era rifiutato di cedere alle pressioni dei malavitosi, che speravano di utilizzare l’azienda come una “lavatrice” per riciclare denaro proveniente da attività illegali? No. Ipotesi fantasiose, senza alcun fondamento. E così l’ombra della criminalità organizzata italiana si dissipa nel giro di qualche giorno dal delitto.

Fu fatta l’autopsia al piccione!

Viene fatta addirittura l’autopsia al piccione ed emerge che il volatile è stato colpito da un frammento dello stesso proiettile che ha ucciso Gianni, esploso da una Taurus 40. Le indagini si indirizzano così verso Andrew Cunanan. Le prede che aveva scelto erano tutte omosessuali facoltosi, con i quali aveva avuto rapporti a pagamento. Circostanze, queste, che convincono i profiler dell’Fbi a ritenere Versace la stessa tipologia delle altre vittime, pur con la differenza che tra Gianni e il suo carnefice non ci sia alcun collegamento. A fugare ogni dubbio una pista inaspettata: in un garage di South Beach i detective trovano il furgoncino rosso sottratto da Cunanan a Reese dopo l’omicidio. Sul camioncino, la scientifica trova i vestiti che, in base alle testimonianze, indossava proprio il killer di Versace al momento del delitto e pure i documenti di Cunanan. Parte immediatamente una massiccia caccia all’uomo, che si risolve otto giorni dopo, il 23 luglio, quando Fernando Carreira, custode di una casa galleggiante al 5250 di Collins Avenue a Miami Beach, a circa quattro chilometri dalla Casa Casuarina, telefona al 911 per denunciare un’effrazione. L’uomo dice che un individuo ha forzato il lucchetto della porta e si è nascosto nella barca. Ma non è tutto: Carreira aggiunge di aver sentito un colpo di pistola. Quell’allarme, che poteva sembrare una semplice intrusione di un malintenzionato, prende invece caratteri eccezionali. Repentinamente la casa galleggiante viene circondata da polizia, vigili del fuoco, Fbi e guardia nazionale. Gli uomini delle squadre speciali, armati fino ai denti, intimano più volte al sospetto barricato all’interno di uscire con le mani in alto, ma invano. Vengono sparati anche dei fumogeni e quando la polizia fa irruzione trova l’uomo già morto. Era, guarda caso, il loro ricercato, Andrew Cunanan, riverso sul letto della camera al piano superiore della casa galleggiante. La polizia si affretta a comunicare ai media che il serial killer si è suicidato, sparandosi un colpo alla testa con una Taurus 40. Una versione che non convince e scatena i dubbi sul fatto che Cunanan non si sia tolto la vita, ma sia stato ucciso altrove e portato nella casa galleggiante per una messinscena. Le incongruenze riguardano il fatto che la pistola è un’arma di grosso calibro che, secondo le dichiarazioni di esperti balistici e anatomopatologi, avrebbe dovuto far saltare il cervello del suicida. Poi la posizione della Taurus 40, trovata delicatamente appoggiata sulle gambe dell’uomo e non a terra, come ci si aspetterebbe in caso di suicidio.
Domande alle quali la Bruzzone, nel suo libro, risponde sulla base degli elementi scientifici dalla scena del crimine. Dai documenti, la criminologa ha spiegato la dinamica del suicidio: Cunanan si è esploso un colpo in bocca con la Taurus 40, ma con proiettili scamiciati, ovvero pallottole più morbide che tendono a non trapassare il cranio, bensì a bloccarsi all’interno o a frammentarsi. Come è avvenuto con i proiettili rimasti nella testa di Madson e di Versace. Anche la posizione dell’arma è coerente con il suicidio, perché dopo il colpo in bocca il braccio si rilassa sul grembo. Caso chiuso: la pista di matrice mafiosa è stata una fantasia. Cunanan aveva tutti gli ingredienti criminologici per mettere a segno quel delitto e il suicidio è coerente con la scena del crimine. Conclude Santo Versace: «Le sentenze di tutti i tribunali del mondo parlano chiaro, ma oggi che ha scritto il libro la Bruzzone forse ci crederanno di più. Io però non leggo libri su Gianni».

Rita Cavallaro per Giallo

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