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L’8 marzo, una festa nata da una bufala diventata il parco giochi dei diritti civili

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8 marzo

Roma, 8 mar – L’8 marzo, per i più pomposi, è la Giornata internazionale della donna. E come ogni giornata mondiale dedicata a qualcosa, andrebbe abolita. Perché la “festa della donna”, per citare il ragionier Fantozzi, “è una cagata pazzesca”.

L’8 marzo, una festa nata da una bufala e il parco giochi dei diritti civili

Partiamo dalle origini di questa ricorrenza:  le uniche cose che si sanno per certo, circa la data, riguardano una manifestazione del 1917 a San Pietroburgo. Le donne russe scesero in piazza per rivendicare la fine della guerra. I cosacchi reagirono, in modo fiacco, e questo diede il via ad altre manifestazioni. Dunque le (fumose) origini dell’8 marzo affonderebbero le proprie radici nelle gesta delle eroine socialiste dei primi del ‘900. No, non ci fu nessun incendio in una fabbrica degli Stati Uniti dove morirono molte donne. E’ quella che oggi definiremmo una bufala o una fake news. O forse un po’ di capitalist washing. L’8 marzo, in breve, vede le sue origini nella lotta operaia in ‘rosa’. Ma questo dettaglio è l’unico che a noi non è arrivato.

Profumi, balocchi e battibecchi

Questo già la dovrebbe dire lunga sul significato di questa ricorrenza. Una ‘festa’ figlia dell’epoca moderna e del consumismo ammantato di finto impegno, in cui tutto ciò che triggera la sensibilità di una minoranza, o sedicente tale, viene accontentato con una giornata ad hoc. La mimosa, due secondi di discussione sulla parità salariale mai veramente approfonditi, due frasi di circostanza e di costernazione dai profili social tutti uguali dei politici di tutto il mondo e il contentino è servito. Poi, in offerta, c’è il teatrino tra le femministe che ci ricordano che l’utero è loro e che possono abortire quante volte vogliono e le antifemministe che ci ricordano invece che la donna è la fonte di vita, la spalla del soldato, il pilastro di casa e qualche volta pure un’eroina. Ma non importa chi ha ragione.

Il teatro dell’assurdo e la tentazione del protagonismo

Nel momento in cui è stata opportunamente sciacquata via la componente ‘bolscevica’ dell’8 marzo, la ‘festa’ si è trasformata in un’altra opportunità di chiacchiericcio consumistico che per carità, non fa male a nessuno (tranne che agli alberi di mimosa) ma neanche andrebbe preso troppo sul serio. Ha senso ribadire che tipo di donna si é, l’8 marzo? Ha senso farlo in un recinto circoscritto, che ci è stato generosamente aperto affinché potessimo razzolarci senza dar fastidio? Per carità, nell’epoca in cui nessuna lotta si può astenere dai social, dove tutti gli algoritmi convergono verso di noi se usiamo l’hashtag giusto, è impensabile non salire su un palco allestito apposta per noi. Stimola la nostra voglia di esprimerci e sentenziare: vogliamo pure noi fare il compitino da dare alla maestra e farle vedere quanto siamo stati bravi a svolgere il tema che ci ha dato. Vogliamo sentirci speciali. Vogliamo esprimere le nostre sensibilità.

La festa simbolo di tutto ciò che non va

Già,  la sensibilità. La vera anima del commercio. Ci ‘regalano’ un giorno in cui parlare e battibeccare circa la figura della donna nella storia dell’uomo, come se ora tra orfane del me too e maschi incel non ci fosse abbastanza divisione e guerra tra i sessi (con una sola vittima: la famiglia tradizionale) e noi ci buttiamo a capofitto. Ma se ha ancora senso difendere il Natale da chi dice che è ormai solo battage consumistico perché – che lo si voglia accettare o meno – quel minimo di radice nella tradizione europea, pagana e cristiana ancora ce l’ha, ha meno senso nel 2022, quando si viene accusati di molestia o maschilismo per un fischio ad una ragazza per strada, sentirsi ‘speciali’ in quanto donne proprio l’8 marzo. E sentirsi trattate come bambini vezzosi, da non contraddire. Abbiamo vinto ‘noi’, siamo noi quelle che ora sono dalla parte giusta della Storia, tenute a mandare avanti il carro del commercio con le nostre stupide pretese di esclusività, che cosa c’è ancora da festeggiare?

Aveva senso festeggiare quando l’8 marzo si faceva sega a scuola per andare a Luneur, tradizione tipicamente romana, questo sì. Perché l’8 marzo in fondo è solo il parco giochi dei diritti civili, quelli che hanno sostituito i diritti propriamente detti che, invece, mancano ogni giorno di più. E’ quella inclinazione a festeggiare la ‘minoranza’ debole – che debole non è e forse non  lo è mai stata – che ha portato ai mille generi sessuali autopercepiti e al femminismo della terza ondata. Una gara di sensibilità. E’ inutile partecipare all’8 marzo facendo il proprio distinguo. E’ sempre una ‘festa’ che è il poster di tutto ciò che non va da una certa epoca in poi. Se proprio ci si deve fare qualcosa, la si può ignorare.

Ilaria Paoletti

 

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