Roma, 3 nov – Oggi si è spenta dopo una lunga malattia che l’ha tenuta lontana dalle scene la grande Monica Vitti: bella, sofisticata, pop, talentuosa. Mille volti per la più grande, forse l’unica, mattatrice del cinema italiano. L’unica in grado di condividere la scena e primeggiare con i colleghi Sordi e Tognazzi, con lo stesso savoir faire, lo stesso humour, lo stesso talento.
Monica Vitti aveva compiuto 90 anni a novembre. Una malattia simile all’Alzheimer l’aveva ormai da decenni isolata da tutti. Protetta dal compagno Roberto Russo, che ha sempre combattuto le notizie false che si sono susseguite negli anni sulla sua morte, si è spenta nella sua casa di Roma . La sua ultima apparizione pubblica risale a 19 anni fa (alla prima di “Notre Dame de Paris“) e già negli anni precedenti le sue apparizioni si erano rarefatte dopo un ritiro dalle scene nel 2001, quando fu ricevuta al Quirinale per i David di Donatello. La notizia è stata data su Twitter dall’ex sindaco di Roma Walter Veltroni: “Il suo compagno mi chiede di comunicare che Monica Vitti non c’è più. Lo faccio con dolore, affetto, rimpianto”.
Le due anime: “sofisticata” e popolare
Nonostante i decenni lontana dalle scene, è come se Monica Vitti non se ne fosse mai andata ed è ancora oggi uno dei nomi più riconosciuti e amati anche e soprattutto da parte dei giovani: gli esperti di cinema d’arte e impegnato la amano per il suo memorabile sodalizio con Michelangelo Antonioni negli Anni 60, mentre gli spettatori “pop” la ricordano per la magnifica intesa con Alberto Sordi nella commedia italiana, di cui lei era l’unica “mattatrice”.
Da Maria Luisa Ceciarelli a Monica Vitti
La grande attrice nasce Maria Luisa Ceciarelli a Roma, il 3 novembre del 1931, cresciuta in Sicilia prima della guerra a causa del lavoro del padre (ispettore al commercio), innamorata della recitazione fin dall’adolescenza (quando metteva in scena spettacolini casalinghi per distrarre i fratelli dagli orrori delle bombe negli ultimi anni di guerra), si diploma nel 1953 all’Accademia d’arte drammatica sotto la guida di Silvio d’Amico e con un maestro-sodale d’eccezione come Sergio Tofano. Ha scelto un nome d’arte con cui rimpiazzare il nomignolo di “Setti vistini” con cui la chiamavano amici e familiari per la sua capacità di cambiarsi in fretta e furia come un personaggio di Fregoli. Sceglie un cognome che le ricorda la madre amatissima (Adele Vittiglia) e un nome che le “suona bene” e non va ancora di moda.
Il debutto e il sodalizio con Antonioni
Debutta al cinema nel ’55 con un piccolo ruolo nell’”Adriana Lecouvreur” di Guido Salvini a fianco di mostri sacri come Valentina Cortese, Gabriele Ferzetti e Memo Benassi, ma 5 anni dopo si incarna nella silenziosa musa di Antonioni per il primo dei quattro film che vanno sotto il segno dell’”incomunicabilità”: “L’avventura”. Nei successivi quattro anni diventerà una diva internazionale grazie a titoli indimenticabili come “La notte”, “L’eclisse”, “Deserto rosso”, ma l’incontro con Antonioni data già dal 1957 quando presta la voce a Dorian Gray ne “Il grido”. Tutti i grandi registi internazionali la vogliono per il suo un volto bellissimo e per la sua voce roca e pastosa.
Il successo e Monicelli
Negli stessi Anni 60 si è cimentata più volte con la tv ed ha avuto un riconoscimento speciale con la partecipazione alla tormentata giuria del festival di Cannes del 1968 quando si dimette dal suo ruolo in solidarietà ai contestatori della Nouvelle Vague. E’ in questo momento che decide di dare un taglio alla sua immagine più consolidata e abbraccia l’idea della commedia grazie a Mario Monicelli che la vuole protagonista de “La ragazza con la pistola”. Il successo è popolare. Monica Vitti domina nel cinema italiano degli Anni 70. Si permette stravaganze di qualità (come nei ruoli cuciti sul suo fascino da Miklos Jacsò, Luis Bunuel, André Cayatte), lavora coi grandi italiani (da Dino Risi a Ettore Scola, da Monicelli al Luigi Magni de “La Tosca”), affianca Antonioni nella sperimentazione elettronica de “Il mistero di Oberwald”), trionfa in coppia con Alberto Sordi (specie grazie a “Polvere di stelle” diretto da Albertone), spinge al debutto dietro la macchina da presa prima Carlo Di Palma (il grande direttore della fotografia che è diventato il suo compagno) e poi il fotografo Roberto Russo che con lei debutta da regista con “Flirt” che le fa vincere il premio come migliore attrice a Berlino nel 1983.
I due libri autobiografici
Insieme al Leone d’oro alla carriera che nel 1995 le viene dato da Gillo Pontecorvo alla Mostra di Venezia è uno dei maggiori riconoscimenti internazionali che affiancano i 5 David, 12 Globi d’oro e i 3 Nastri d’argento guadagnati in patria. Conquista anche le platee televisive insieme a Mina (“Milleluci” nel ’74 e “Domenica in” vent’anni dopo), scrive due libri autobiografici, firma la sua unica regia (“Scandalo segreto”) nel 1990, porta in teatro la grande commedia americana da “La strana coppia” a “Prima pagina”. E anche se appunto era lontana dal grande e dal piccolo schermo ormai da quello che in ‘anni’ di spettacolo si traduce in un secolo, Monica Vitti ha compiuto il miracolo di non essersene mai andata via. Un miracolo che solo una donna come lei poteva compiere.
Ilaria Paoletti