Roma, 5 ott – Come da tradizione, il giorno dopo il voto, cantano vittoria un po’ tutti. È contento Michetti perché è arrivato primo, è felice Gualtieri che va al ballottaggio, esulta Calenda che arriva terzo e pure la Raggi tutto sommato non è dispiaciuta. Proviamo a fare una analisi del voto di Roma basandoci sul dato oggettivo dei numeri.
Michetti chi? Un candidato sbagliato
Salvini lo ha detto abbastanza chiaramente: “Abbiamo scelto i candidati tardi”. E, sottinteso, anche male. La debacle milanese di Bernardo parla chiaro, ma anche a Roma non è che sia andata meglio. Negli ultimi sondaggi prima del voto, quelli del 19 settembre, Michetti era accreditato di un 36%. È uscito dalle urne con un 30,15%, praticamente sei punti in meno. Senza contare che l’insieme delle liste che lo sostenevano hanno raccolto il 31,40%, più di un punto percentuale in più. Il “professore” di Radio Radio è riuscito poi nell’impresa di piazzarsi ultimo tra i 22 candidati sindaco di Roma per quanto riguarda la percentuale di voti indirizzati solo al sindaco (ovvero di chi mette la “x” sul nome senza barrare nessuna lista): appena il 5,28% del totale dei consensi raccolti. Per capirci Calenda ha una percentuale di voti solo sul suo nome del 10,21%, la Raggi addirittura del 14,58%.
La cartina di tornasole dei municipi
Il dato dei municipi poi è ancora più impietoso. Prendiamo l’esempio del XV, storica roccaforte romana del centrodestra. Michetti al Comune raccoglie il 36,50%, mentre Signorini, candidato presidente del centrodestra al Municipio, ottiene il 41,17%, guadagnando quasi cinque punti in più di Michetti. Discorso simile al X Municipio, quello di Ostia, con la candidata presidente di centrodestra, Monica Picca, che ottiene il 39,18%, mentre Michetti al Comune si è fermato 34,44%. Altri cinque punti in meno per Michetti nel confronto Comune-Municipio. Stesso discorso in VI Municipio dove il candidato di centrodestra al Comune prende il 39,93% e il candidato presidente di Municipio arriva al 43,18%. Sicuramente è merito anche delle figure locali, ma è evidente che se il professore perde 4-5 punti un po’ ovunque rispetto al dato dei suoi candidati presidente di municipio la colpa è principalmente sua.
Poche possibilità per Michetti anche al ballottaggio
Dunque il centrodestra paga la scelta di aver candidato un quasi conosciuto, sicuramente preparato sul piano tecnico ma impreparato su quello politico, incapace di reggere il confronto con gli altri soprattutto a livello comunicativo. Dunque Michetti candidato debole lascia per strada almeno 4-5 punti. Voti che, con buona probabilità, sono finiti principalmente a Calenda, come vedremo dopo. Chi avrebbe dovuto candidare allora il centrodestra? Beh qualsiasi altro nome tra quelli ventilati sarebbe andato bene. Sicuramente Bertolaso avrebbe fatto meglio, ma anche un politico “puro”, come Rampelli o Gasparri, di sicuro difficilmente sarebbe sceso sotto quota 35%. Si dirà allora che Michetti col suo profilo “civico” potrebbe raccogliere di più al ballottaggio. Lo scopriremo solo vivendo, ma difficile che gli elettori di Calenda e Raggi possano preferirlo a Gualtieri. Senza contare che in queste due settimane lo scontro diventerà più personale e, un candidato debole, difficilmente riuscirà a guadagnare qualcosa.
Gualtieri in linea con le aspettative
Gualtieri con il suo 27% spaccato ha preso quello che doveva prendere, i sondaggi lo davano appunto in una forbice tra il 26 e il 28-29%. A Calenda, che ha pescato i voti in più soprattutto a destra, e da Raggi, che ha un elettorato quasi “fidelizzato”, ha ceduto relativamente poco. Un punticino o poco più lo avrà lasciato sul terreno alle 7-8 liste di estrema sinistra che si sono presentate a Roma raccogliendo qualche frattaglia. Anche lui raccoglie quasi un punto percentuale in meno dell’insieme delle liste in suo supporto. Gualtieri, che non è certo un trascinatore né un candidato “forte”, ha goduto soprattutto del forte apparato del centrosinistra romano. Ha preso qualcosa in meno di Giachetti nel 2016, ma all’epoca Calenda si chiamava Alfio Marchini ed era portato da un pezzo di centrodestra. Va al ballottaggio con corta distanza su Michetti, perfettamente in linea con gli obiettivi della vigilia.
Calenda la “sorpresa”
Calenda in proporzione ha raggiunto probabilmente il miglior risultato. Sfiora il 20% (19,81 per l’esattezza) e si piazza terzo con una candidatura indipendente, presentandosi con una sola lista e senza l’appoggio di alcun partito (eccetto un timido sostegno di Italia Viva). È riuscito a recuperare anche rispetto ai sondaggi che spesso lo davano sotto al 15%, rubando soprattutto a “destra”. Quello che manca a Michetti e alla coalizione è andato quasi tutto al “pariolino”. E il merito non è solo degli eventi con Osho, ma anche di un progetto chiaro e di una comunicazione fatta bene. “Scegli un sindaco, non un partito” magari non sarà stata la campagna di comunicazione più sorprendente degli ultimi decenni, ma era giusta e coerente con il personaggio e il messaggio. Messaggio che ha fatto breccia in molti elettori di centrodestra, che in spesso lo hanno preferito a Michetti.
La Raggi meglio del previsto
Considerando l’immagine di Roma nel mondo, la bocciatura della stragrande parte dei romani, la monnezza, i cinghiali, gli autobus in fiamme e via discorrendo, l’idea che 211 mila elettori abbiano scelto ancora lei come “sindaca” dovrebbe far gridare al miracolo. E questo in parte giustifica la soddisfazione di Virgy per il suo 19,09%, nonostante il quarto posto ottenuto. I numeri ci raccontano di una candidata divisiva ma con una buona fan base. Prende quasi un punto e mezzo in più della coalizione in suo sostegno, con una lista Cinque Stelle ferma all’11%. Segno che nel bene e nel male la Raggi è diventata un personaggio e che la sua candidatura è stata “riconosciuta” da una parte dell’elettorato. Non è un caso che tra i big è quella con il maggior numero di voti solo per il sindaco (14,58%). Paga l’astensione nelle periferie dove spesso va ancora “forte”: nel VI Municipio, quello delle Torri (che è il più periferico di tutti), raccoglie il 27%.
E i partiti?
Escludendo la lista civica in sostegno di Calenda – di fatto sovrapponibile quasi in toto alla candidatura del sindaco – Fratelli d’Italia è il partito il partito più votato a Roma con il 17,42%. Un dato sì importante, ma non si può fare a meno di considerare che a livello nazionale il partito della Meloni è accreditato di un quasi 20%. Prendere a Roma, storica roccaforte, meno del 18% può essere considerato un grande risultato? La Lega crolla al 5,93%, numeri che la riportano quasi alla preistoria dello sbarco sotto l’Arno, ovvero ai tempi di Noi con Salvini per capirci. Non bene nemmeno Forza Italia al 3,59%. Il Pd “regge botta” al 16,38%, ma il risultato di Calenda e il dato abbastanza alto della lista civica per Gualtieri al 5,40% dovrebbe comunque far scattare un minimo allarme. Non è un caso che a Siena Letta abbia preferito fare a meno del simbolo del partito. I Cinque Stelle raccolgono l’11% nonostante il traino della Raggi e devono ancora capire se fare il terzo polo o la stampella del Pd nel centrosinistra 3.0. Gli altri candidati e le altre liste raccolgono le briciole. Singolare che il primo candidato dopo i quattro big sia il “no vax” di 3V Teodori con l0 0,64%. Considerando anche il discreto risultato di Paragone a Milano e alle suppletive di Primavalle, forse un minimo spazio elettorale nell’area “No Vax-No Green Pass” esiste.
Davide Di Stefano