Un anno fa, il 20 Febbraio 2020, l’Italia ha incontrato il Covid-19. Accadde a Codogno quando, una dottoressa decide di non seguire i protocolli e scopre la minaccia: il giorno dopo si registra la prima vittima del Coronavirus. Il mondo blocca i voli dalla Cina, ma il virus ha già oltrepassato le Alpi e, la regione più popolosa del Paese, risente del contraccolpo ed entra in crisi.
Da lì, l’emergenza sanitaria, si mostra in tutta la sua gravità. Ben dodici mesi di restrizioni, provvedimenti e lockdown, fino alla seconda, violentissima, ondata. Il bilancio delle vittime tocca quasi 3 milioni di casi e 95mila vittime.
“Non ci saranno più ‘zona rossa’ o ‘zona 1 e zone 2’, ci sarà solo l’Italia zona protetta”, annuncia il premier Giuseppe Conte in diretta tv. E mentre le persone si chiudono in casa, i medici restano in trincea, alle prese con strumenti inadeguati, mancanza di personale, spazi e protezioni. Gli ospedali collassano.
La paura ma anche la speranza e la tenacia dei medici. “Quando ho saputo della prima diagnosi, tra me e me ho pensato che in quel momento avevamo bloccato i voli dalla Cina e invece il virus era già qua”, ricorda Raffaele Bruno, infettivologo e direttore della clinica di malattie infettive al Policlinico San Matteo di Pavia, che ha curato Mattia, il “Paziente 1”. Proprio oggi si celebra la prima Giornata Nazionale dei Camici Bianchi, istituita per onorare il grande lavoro, impegno e sacrificio del personale medico e sanitario nel corso della pandemia da coronavirus.