La Guardia di Finanza e la Polizia Locale di Roma Capitale hanno applicato 18 misure cautelari (8 in carcere e 10 ai domiciliari) sventando una banda di usurai: a capo della banda i fratelli Tredicine, con la collaborazione di due funzionari pubblici. In particolare A. B. “asserviva costantemente le funzioni del proprio ufficio agli interessi economici dei Tredicine, Dino e Mario” in cambio di soldi e regali costosi. In pratica i 4 hanno rimaneggiato le graduatorie per l’assegnazione delle aree per le bancarelle a seconda di un prezzario. Chi ha pagato di più (anche 700 euro al giorno) ha ottenuto i posti migliori, ovvero quelli di via Cola di Rienzo, via Giulio Cesare e Porta Portese.
Oltre al prezzario (che poteva anche variare, arrivando fino a 4 mila euro mensili e che non comprendeva le licenze da 170 mila euro), gli ambulanti erano costretti a sottostare ad estorsioni di ogni genere: anche il sussidio Covid-19 è stata un’ambita preda dei fratelli Tredicine. L’ambulante che li ha denunciati, originario del Bangladesh, stanco di vivere nel terrore e delle pressioni che i Tredicine facevano sul suo punto vendita, ha affermato che lui e il fratello vivevano nel terrore, perché gli estorsori continuavano a chiedere somme di denaro non previste, tanto che il suo commercialista, impostogli dai Tredicine stessi, ha preteso di avere il pin dell’Inps e si è appropriato della metà del sussidio di 600 euro mensile per i mesi di aprile e maggio. E non è stato l’unico. Un sistema che è andato avanti per quasi 15 anni, secondo le indagini, finché due anni fa l’ambulante del Bangladesh ha deciso di denunciare le pressioni che aveva subito. Dalle intercettazioni è emerso che la famiglia Tredicine, venuta a conoscenza delle indagini sui suoi componenti, ha cercato in tutti i modi di nascondere le prove. Ma, grazie alla denuncia, sono stati smascherati insieme ai loro giri loschi.