È stato considerato imputabile, a seguito della perizia psichiatrica disposta dal tribunale di Roma, Finnegan Lee Elder, l’uomo che quasi un anno fa, il 26 luglio 2019, uccise con undici coltellate il vicebrigadiere Mario Cerciello Rega.
La perizia era stata richiesta della difesa del giovane accusato di omicidio ma non ha dato il risultato sperato, infatti, per i professori Stefano Ferracuti e Vittorio Fineschi, che hanno svolto l’attività istruttoria, Elder era “capace di intendere e di volere al momento del fatto”. Il risultato della perizia riporta che ci si trova in presenza di uomo che “presenta un disturbo di personalità borderline-antisociale di gravità medio elevata, una storia di abuso di sostanze (in particolare Thc) e un possibile disturbo post-traumatico da stress”.
Tuttavia i due periti hanno aggiunto che “non è possibile dimostrare che la condizione mentale accertata nell’Elder abbia compromesso la libera capacità decisionale del soggetto al momento del compimento dell’azione delittuosa”. Nel corso della perizia il giovane “ha ricostruito il fatto con lucidità e precisione, rimarcando la sua mancanza di conoscenza di un dato per lui fondamentale, ovvero che non sapeva che la persona con cui aveva ingaggiato la colluttazione fosse un agente delle Forze dell’Ordine, perché se lo avesse saputo si sarebbe inibito nell’azione omicidiaria”.
I professori hanno comunque ritenuto che non sia “possibile stabilire un nesso di causalità tra il fatto reato e la condizione psicopatologica. Elder, comunque, è persona che necessita di trattamento psicologico e psichiatrico per via della condizione mentale e del rischio suicidario che presenta”. Le conclusioni della perizia verranno illustrate con più precisione in un’udienza dedicata entro la fine di luglio. Il militare che era con Cerciello nel momento dell’omicidio, sentito ieri in aula ha fornito la sua versione su quanto accaduto: “Ci avviciniamo frontalmente ai due e tiriamo fuori il tesserino dicendo che eravamo Carabinieri – ha spiegato -. Mario ha fatto la stessa cosa. Abbiamo fatto quello che facciamo sempre. Loro non avevano nulla in mano. I due ci hanno immediatamente aggrediti. Io fui preso al petto da Natale e rotolammo in terra. Allo stesso tempo sentivo Cerciello che urlava ‘fermati Carabinieri’, aveva una tono di voce provato”.
Il militare ha proseguito raccontando le fasi dell’aggressione, sottolineando che “Tutto è durato pochi secondi io lascio andare il mio aggressore perché ero preoccupato per le urla di Mario. Alzo la testa e vedo lui in piedi che mi dice ‘mi hanno accoltellato’ per poi crollare per terra. Mi sono quindi tolto la maglietta e ho provato a tamponare la ferita, ma il sangue usciva a fiotti. Ho chiamato subito la centrale per chiedere una ambulanza”. Sul fatto che i due militari fossero sprovvisti dell’arma di ordinanza, Varriale ha spiegato: “dovevamo avere la pistola ma per praticità e perché dobbiamo mimetizzarci l’arma è più un problema, non mi è mai capitato di doverla usare nel servizio nella zona della movida”. Il carabiniere ha inoltre aggiunto che “la Beretta pesa oltre un chilo ed è lunga 25 centimetri. Io ero vestito con una polo dei jeans e le scarpe da ginnastica. Il nostro obiettivo, quando facciamo quel tipo di servizio, è confonderci tra la gente e mimetizzarsi”.