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Stiamo in guerra ma combattiamo a mani nude: ci ammaliamo e moriamo | UN MEDICO IN PRIMA LINEA

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Riceviamo e pubblichiamo una lettera – sfogo di un medico in prima linea nell’emergenza coronavirus. Restiamo chiaramente a disposizione per eventuali repliche.

“L’Italia è una Nazione che non cambia mai. Oggi come un secolo fa, nella prima guerra mondiale, convivono insieme l’eroismo dei fanti nelle trincee e l’incapacità criminale dei generali nei palazzi. Oggi, come a Caporetto, la prima linea viene mandata al massacro senza armi e senza divise, mentre gli ufficiali dello stato maggiore sbagliano strategia, lasciando senza logistica chi si trova in trincea. Ed oggi come ieri gli stessi che hanno la responsabilità di errori e mancata organizzazione, appellano come eroi quelli che stanno usando come carne da cannone. Medici ed infermieri esaltati oggi negli articoli di giornale, nelle canzoni dai balconi, stanno combattendo quotidianamente senza armi e senza ordini chiari. Nessuno lascia la trincea ma la rabbia si somma alla preoccupazione ed alla stanchezza. Ogni giorno usciamo di casa con la sensazione di affrontare il mostro a mani nude, a due mesi dalla dichiarazione dello stato di emergenza avere le mascherine adeguate rimane una chimera, a due mesi dall’inizio della guerra medici di base, infermieri, guardie mediche, ospedalieri continuano a sentirsi ripetere che i famosi DPI non ci sono, che la protezione civile si sta impegnando ma che non si trovano.

E nel frattempo, a sfregio conclusivo, ci vediamo recapitare protocolli, stilati da burocrati e professoroni che non entrano in ambulatorio e non vedono un paziente da decenni, in cui ci si dice che si può affrontare il covid con le mascherine chirurgiche, stando attenti a mantenere le distanze. Sentiamo nella inutile conferenza stampa delle 18 incravattati scienziati dai titoli pomposi (presidente del istituto superiore di sanità, presidente del consiglio nazionale di sanità) dirci che alla fine noi medici conosciamo il rischio del nostro lavoro, e siamo pagati per questo. Parole sferzanti che diventano immediatamente il mantra di inutili burocrati messi a guidare le ASL per meriti politici, che nel momento della crisi hanno dimostrato la loro totale incapacità, cercando di mascherarla con quintali di inutili circolari, prive di concretezza, dimostrazione del totale distacco dalla realtà che contraddistingue una burocrazia criminale. Ed intanto noi continuiamo a visitare con mascherine chirurgiche che portiamo per giorni, ben sapendo che a nulla servono, ma aggrappandoci all’illusione che quella stoffa che sentiamo sulla bocca ed il naso possa rappresentare uno scudo contro il mostro; ed intanto continuiamo a curare i nostri pazienti con protocolli che ci siamo passati clandestinamente sulle chat di whatsApp e sui gruppi social, perché a due mesi dall’inizio della guerra gli “scienziati” ancora non hanno dato uno straccio di linea guida, seppur empirica, che possa aiutare chi in prima linea vede morire i propri pazienti senza sapere cosa fare. Ed intanto continuiamo a rapportarci con i nostri pazienti sapendo che fargli fare un tampone è un’utopia, condizionati da mille trappole burocratiche, da uffici che non rispondono al telefono, e che quando rispondono ci dicono che non hanno personale per farli. Abbiamo chiesto mascherine, tamponi, linee guida e nel Lazio ci hanno dato un’app, spiegandoci come visitare a distanza il paziente, come se in due mesi non ci fossimo già ingegnati da soli quando possibile, consapevoli che la gran parte dei nostri pazienti sono anziani, analfabeti telematici, e che spesso e volentieri nei nostri paesi avere una connessione decente è un’utopia.

Ed intanto continuiamo a vedere i nostri colleghi e gli infermieri ammalarsi, e morire; ed intanto sentiamo le stesse persone con cui abbiamo lavorato, combattuto in questi giorni fianco a fianco piangere silenziosamente a casa, perché hanno scoperto di essere positivi e sono terrorizzati di aver infettato i propri figli, compagni, genitori, e sanno che nessuno farà loro il tampone. E ci alziamo la mattina con il terrore che il raffreddore di un nostro genitore sia la condanna a morte di cui ci sentiremo per sempre colpevoli. Senza armi, senza divise, senza ordini vediamo burocrati, professoroni, politici girare con le mascherine che per noi sono un miraggio, vediamo calciatori, cantanti fare il tampone che noi non possiamo garantire ai nostri pazienti, e sentiamo montare una rabbia sorda di chi sa di essere stato tradito dai propri generali. Eppure rimaniamo in trincea, perché sappiamo di non essere eroi, ma soldati che debbono combattere perché questo è il nostro dovere. Ma sappiamo anche che dal quella trincea usciremo, quando avremo vinto, perché nonostante tutto dopo Caporetto ci sarà Vittorio Veneto. E quando usciremo qualcuno dovrà pagare, nonostante gli scudi che una politica indegna sta cercando di preparare per  i suoi burocrati. Usciremo dalle trincee sapendo che noi il nostro dovere lo abbiamo fatto e che abbiamo il diritto di chiedere il conto agli imboscati.”

Un medico in primissima linea

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